venerdì 24 giugno 2011
giovedì 16 giugno 2011
2 racconti
Due eventi mi hanno colpito oggi e questa sera, prima di andare a dormire, li voglio raccontare.
Durante la mattinata ho dovuto accompagnare Andrew ad una clinica perché non si sentiva bene (é la seconda persona ammalata in due giorni che porto all'ospedale!). Aspettavo che lui finisse tutte le analisi e osservavo la gente. C'erano soprattutto donne con bambini. A molti di questi veniva fatto il test per la malaria, una delle principali cause di morte dei bambini in questo paese. Fare il test significa che ti forano un pochino la punta di un dito e dall'analisi della goccia di sangue sanno dirti se hai o meno la malaria. Tutti i bambini uscivano dal laboratorio piangendo... piccini. Una madre cercava di consolare il suo piccolo che si guardava il dito disperato, con dei grandi lacrimoni. Non gli ha fatto baci o carezze o cose di questo tipo. Dopo avergli asciugato le lacrime, lo ha preso e se lo è messo dietro la schiena, come usano fare qui in Africa. Il piccolo ha smesso immediatamente di piangere, come se lo stretto contatto con la madre bastasse per placare il dolore. Interessante!
Il secondo episodio che mi ricordo ha a che fare, ancora una volta, con i miei vicini. Oggi sono passato davanti a casa loro mentre uscivo. Ero in macchina ma ho lanciato loro una veloce occhiata. Stavano giocando tutti insieme, saltellando di qua e di là. Bambini e ragazzini/e di diversa età erano intenti a divertirsi spensieratamente. La maggior parte del loro tempo la passano a giocare. Mi hanno trasmesso una sensazione di semplice felicità.
Durante la mattinata ho dovuto accompagnare Andrew ad una clinica perché non si sentiva bene (é la seconda persona ammalata in due giorni che porto all'ospedale!). Aspettavo che lui finisse tutte le analisi e osservavo la gente. C'erano soprattutto donne con bambini. A molti di questi veniva fatto il test per la malaria, una delle principali cause di morte dei bambini in questo paese. Fare il test significa che ti forano un pochino la punta di un dito e dall'analisi della goccia di sangue sanno dirti se hai o meno la malaria. Tutti i bambini uscivano dal laboratorio piangendo... piccini. Una madre cercava di consolare il suo piccolo che si guardava il dito disperato, con dei grandi lacrimoni. Non gli ha fatto baci o carezze o cose di questo tipo. Dopo avergli asciugato le lacrime, lo ha preso e se lo è messo dietro la schiena, come usano fare qui in Africa. Il piccolo ha smesso immediatamente di piangere, come se lo stretto contatto con la madre bastasse per placare il dolore. Interessante!
Il secondo episodio che mi ricordo ha a che fare, ancora una volta, con i miei vicini. Oggi sono passato davanti a casa loro mentre uscivo. Ero in macchina ma ho lanciato loro una veloce occhiata. Stavano giocando tutti insieme, saltellando di qua e di là. Bambini e ragazzini/e di diversa età erano intenti a divertirsi spensieratamente. La maggior parte del loro tempo la passano a giocare. Mi hanno trasmesso una sensazione di semplice felicità.
lunedì 6 giugno 2011
Apocalypto
Torno ora dalla casa dei vicini dove ci siamo guardati l'ennesimo film.
Questa sera ci siamo lanciati su una cosa un po' particolare. Mi hanno fatto una richiesta strana e ho voluto accontentarli. Non so come, ma Elias aveva visto da qualche parte il film di Mel Gibson "Apocalypto" e mi ha chiesto di guardarlo insieme ai suoi fratelli. Così abbiamo fatto. Il film è un po' violento... i più piccoli erano un po' spaventati... poveri...
Quello che trovo sempre interessante è vedere cosa li colpisce. Quale emozione, quale immagine li attrae. Ovvio, non posso cogliere tutto, non ne sono capace, non sono un antropologo. Ma ci sono alcune loro reazioni che mi sono sembrate interessanti: per esempio, durante un momento in cui uno dei personaggi "buoni" era in difficoltà, loro ripetevano la frase "bo sufri", che letteralmente significa "devi soffrire". Ossia significa che in quel momento il personaggio deve quasi rassegnarsi alla sofferenza e sopportarla. Il dolore va sopportato, con pazienza, senza disperarsi o lasciarsi andare.
Un'altra cosa che mi ha colpito è il momento in cui il personaggio principale si trova allo stremo delle forze ed è ormai braccato dai suoi inseguitori. I miei vicini dicevano commentando la scena: "Deus pa dal força", ossia "Dio ora devi dargli la tua forza". Nel momento di maggiore difficoltà, Dio vieni a darci forza. Sembra una preghiera ma era la loro reazione di fronte ad un film. Mi sembra molto interessante e curioso!
Questa sera ci siamo lanciati su una cosa un po' particolare. Mi hanno fatto una richiesta strana e ho voluto accontentarli. Non so come, ma Elias aveva visto da qualche parte il film di Mel Gibson "Apocalypto" e mi ha chiesto di guardarlo insieme ai suoi fratelli. Così abbiamo fatto. Il film è un po' violento... i più piccoli erano un po' spaventati... poveri...
Quello che trovo sempre interessante è vedere cosa li colpisce. Quale emozione, quale immagine li attrae. Ovvio, non posso cogliere tutto, non ne sono capace, non sono un antropologo. Ma ci sono alcune loro reazioni che mi sono sembrate interessanti: per esempio, durante un momento in cui uno dei personaggi "buoni" era in difficoltà, loro ripetevano la frase "bo sufri", che letteralmente significa "devi soffrire". Ossia significa che in quel momento il personaggio deve quasi rassegnarsi alla sofferenza e sopportarla. Il dolore va sopportato, con pazienza, senza disperarsi o lasciarsi andare.
Un'altra cosa che mi ha colpito è il momento in cui il personaggio principale si trova allo stremo delle forze ed è ormai braccato dai suoi inseguitori. I miei vicini dicevano commentando la scena: "Deus pa dal força", ossia "Dio ora devi dargli la tua forza". Nel momento di maggiore difficoltà, Dio vieni a darci forza. Sembra una preghiera ma era la loro reazione di fronte ad un film. Mi sembra molto interessante e curioso!
domenica 5 giugno 2011
Splendida intervista a Galeano sugli ultimi scandali del calcio
Le miserie del calcio secondo Galeano "Poveri atleti, ubriacati dal successo"
ASTI - I sogni, il mistero, le illusioni, la tecnica, ma soprattutto la bellezza. Il calcio, per Eduardo Galeano, è un favoloso groviglio di splendore e miserie: questo il titolo di un suo famoso libro che è, ormai da anni, un classico. E attorno alle due parole-chiave, splendore e miseria, ruotano anche questi giorni convulsi per il nostro povero pallone.
Galeano, cominciamo dalle miserie?
"Sto seguendo l'ultimo scandalo che ha colpito il vostro sport. Tristissimo, veramente. Ma è la conferma che il calcio non è un'isola: non genera da sé violenza, corruzione, miseria morale, bensì le condivide con una società senza riferimenti, dove i potenti ingannano, rubano, mentono. Il football non è un capro espiatorio. C'è di peggio, credetemi, di un portiere che vende le partite o droga i compagni di squadra".
Ci fa un esempio?
"Qualche primo ministro. I nomi? Eh, sapete, io vengo da lontano e me ne intendo poco... Oppure i banchieri che hanno impoverito il mondo. Nessuno di loro è stato arrestato. Non i grandi, almeno. C'è chi ha violentato interi Paesi, e ha chiuso violentando cameriere d'albergo".
Come ci si oppone alla miseria, soprattutto quella interiore?
"Con la coscienza, con la capacità di ascoltare lei e non la convenienza. Come fece quel centravanti colombiano, tal Devani, che in un vecchio derby a Bogotà disse all'arbitro che non era rigore quello che gli aveva appena concesso. Sono inciampato da solo, spiegò. Ma l'arbitro guardò la folla inferocita, che quel rigore voleva assolutamente, e rispose: grazie, però io preferisco restare vivo. Allora il centravanti andò al dischetto della morte, appoggiò il pallone e tirò fortissimo: fuori. Da quel giorno cominciò la sua fine sportiva, eppure quel giorno rappresenta il momento di massima gloria di tutta la sua vita. Perché egli, appunto, ascoltò la voce della coscienza e non della convenienza".
Lo sport non dovrebbe essere un luogo dove si proteggono le illusioni e i sogni?
"Dovrebbe, ma non è, anche se nella contraddizione sta la sua fecondità. In Uruguay ci indigniamo quando un centravanti simula un fallo da rigore, diciamo che è un pessimo esempio per i bambini. Io penso che sia peggio scaricare bombe sugli innocenti, chiamandola "missione di pace" invece di usare il suo vero nome: guerra".
Cosa può spingere un atleta a tradire e barare? Solo il denaro?
"Forse c'entra anche la condanna al successo. Ormai, non solo nel calcio, la sconfitta viene vissuta come una realtà senza redenzione. Quello che non rende, non serve. Abbiamo creato il mito dell'efficienza a qualunque costo, e le persone deboli cercano scorciatoie. La cosa grave, tuttavia, è il messaggio di impunità che talvolta si accompagna ai crimini. Questo è inaccettabile per gli onesti".
Però il calcio ha un grande potere consolatorio: è riduttivo, questo ruolo, o necessario?
"Siamo mendicanti di bellezza, e il calcio ci riempie gli occhi. Lionel Messi è l'unico vero messia in un mondo che inganna. Il Barcellona è splendore, certamente. Amo questa squadra solidale, creativa, piena di gioia di giocare, che non cerca atleti grandi e grossi e dà invece pieni poteri alla fantasia. La finale di Coppa dei Campioni contro il Manchester United è stata meravigliosa".
Meglio il Barcellona del Real Madrid, dunque.
"Non si discute neanche, Mourinho è un orrore".
A proposito di finali: il Peñarol di Montevideo si giocherà la Libertadores contro il Santos: a una squadra uruguaiana non accadeva da 23 anni.
"Non sono tifoso del Peñarol, ma spero vinca. Ogni tanto bisogna togliersi la maglia con i propri colori sociali, e pensare più sportivamente".
Lei ha scritto pagine memorabili sul mundial argentino del '78, usato dai militari per coprire i loro crimini. Pensa che lo sport sia ancora uno strumento di potere?
"Purtroppo sì. C'è chi manipola una passione universale per puro interesse privato, e questo è da delinquenti. Lo fece Hitler nel '36, umiliato dalla vittoria del Perù contro l'Austria: nella notte dopo la gara venne cancellata la vittoria, ottenuta con i gol di attaccanti neri. Però abbiamo esempi meno clamorosi e più recenti".
Cosa pensa dei politici che usano lo sport?
"Ne ricordo uno, anche se il nome mi sfugge. Italiano, mi pare... Disse, più o meno, che avrebbe fatto al suo Paese le stesse cose che aveva fatto con la sua squadra di calcio. Non andò proprio così".
Come si diventa grandi narratori di sport?
"Guardando e ascoltando. Se l'uomo ha una sola bocca, ma due orecchie, significa che prima di parlare dovrebbe ascoltare due volte".
Perché gli scrittori sudamericani hanno scritto le pagine più belle della letteratura sportiva?
"Non so se questo sia vero, comunque noi cerchiamo di tradurre la voce della realtà mescolandola al sogno e alla magia. Bisogna sempre partire dalla cose minime, dai dettagli. Io amo confrontarmi con le vicende difficili e profonde, cercando di raccontarle in modo semplice. La realtà regala le storie migliori, non c'è bisogno di ricamarci troppo. Credo nella grandiosità delle piccole cose, anche se il nostro tempo malato ha confuso la grandiosità con la dimensione del reale: una cosa, se grossa, non è necessariamente grande, anzi è spesso il contrario".
Come si cerca, lo splendore?
"Ne ho appena visto molto tra gli "indignados", i ragazzi che ho incontrato in Spagna. Alcuni loro cartelli erano memorabili, ad esempio quello che diceva "se non ci farete sognare, non vi faremo dormire". Oppure, il mio preferito: "La rivoluzione del senso comune".
Contro le miserie, anche lo splendore di un po' di ottimismo?
"Io mi aspetto sempre che dentro questo mondo che non desidero, e che mi piace sempre meno, ci sia nascosto un altro piccolo mondo possibile e migliore, come dentro la pancia di una futura mamma".
Il mondo piccolo e migliore comincia dalle persone?
"Sempre, e dalla loro capacità di amare. Ricordo quando incontrai per la prima volta Obdulio Varela, l'eroe della Coppa del mondo che l'Uruguay strappò al Brasile nel 1950. Si narra che, la sera, questo grande giocatore abbandonò la festa dei suoi compagni, in albergo: me lo confermò egli stesso. Era andato vagando nei bar di Rio, per osservare le persone. Mi disse: "Dentro lo stadio Maracanà, la folla mi era parsa un mostro con 200 mila teste e l'avevo odiata. Ma adesso, dopo la sconfitta, ognuna di quelle teste piangeva da sola. Ne abbi un'immensa tristezza". Il mio amico Obdulio trascorse l'intera notte, per così dire, abbracciato a coloro che aveva fatto soffrire. Ecco, a me sembra un esempio bellissimo di compassione. E' così, comprendendo le ragioni degli altri, soprattutto gli infelici, che forse si realizza un mondo migliore".
di Maurizio Crosetti
da www.repubblica.it
ASTI - I sogni, il mistero, le illusioni, la tecnica, ma soprattutto la bellezza. Il calcio, per Eduardo Galeano, è un favoloso groviglio di splendore e miserie: questo il titolo di un suo famoso libro che è, ormai da anni, un classico. E attorno alle due parole-chiave, splendore e miseria, ruotano anche questi giorni convulsi per il nostro povero pallone.
Galeano, cominciamo dalle miserie?
"Sto seguendo l'ultimo scandalo che ha colpito il vostro sport. Tristissimo, veramente. Ma è la conferma che il calcio non è un'isola: non genera da sé violenza, corruzione, miseria morale, bensì le condivide con una società senza riferimenti, dove i potenti ingannano, rubano, mentono. Il football non è un capro espiatorio. C'è di peggio, credetemi, di un portiere che vende le partite o droga i compagni di squadra".
Ci fa un esempio?
"Qualche primo ministro. I nomi? Eh, sapete, io vengo da lontano e me ne intendo poco... Oppure i banchieri che hanno impoverito il mondo. Nessuno di loro è stato arrestato. Non i grandi, almeno. C'è chi ha violentato interi Paesi, e ha chiuso violentando cameriere d'albergo".
Come ci si oppone alla miseria, soprattutto quella interiore?
"Con la coscienza, con la capacità di ascoltare lei e non la convenienza. Come fece quel centravanti colombiano, tal Devani, che in un vecchio derby a Bogotà disse all'arbitro che non era rigore quello
Lo sport non dovrebbe essere un luogo dove si proteggono le illusioni e i sogni?
"Dovrebbe, ma non è, anche se nella contraddizione sta la sua fecondità. In Uruguay ci indigniamo quando un centravanti simula un fallo da rigore, diciamo che è un pessimo esempio per i bambini. Io penso che sia peggio scaricare bombe sugli innocenti, chiamandola "missione di pace" invece di usare il suo vero nome: guerra".
Cosa può spingere un atleta a tradire e barare? Solo il denaro?
"Forse c'entra anche la condanna al successo. Ormai, non solo nel calcio, la sconfitta viene vissuta come una realtà senza redenzione. Quello che non rende, non serve. Abbiamo creato il mito dell'efficienza a qualunque costo, e le persone deboli cercano scorciatoie. La cosa grave, tuttavia, è il messaggio di impunità che talvolta si accompagna ai crimini. Questo è inaccettabile per gli onesti".
Però il calcio ha un grande potere consolatorio: è riduttivo, questo ruolo, o necessario?
"Siamo mendicanti di bellezza, e il calcio ci riempie gli occhi. Lionel Messi è l'unico vero messia in un mondo che inganna. Il Barcellona è splendore, certamente. Amo questa squadra solidale, creativa, piena di gioia di giocare, che non cerca atleti grandi e grossi e dà invece pieni poteri alla fantasia. La finale di Coppa dei Campioni contro il Manchester United è stata meravigliosa".
Meglio il Barcellona del Real Madrid, dunque.
"Non si discute neanche, Mourinho è un orrore".
A proposito di finali: il Peñarol di Montevideo si giocherà la Libertadores contro il Santos: a una squadra uruguaiana non accadeva da 23 anni.
"Non sono tifoso del Peñarol, ma spero vinca. Ogni tanto bisogna togliersi la maglia con i propri colori sociali, e pensare più sportivamente".
Lei ha scritto pagine memorabili sul mundial argentino del '78, usato dai militari per coprire i loro crimini. Pensa che lo sport sia ancora uno strumento di potere?
"Purtroppo sì. C'è chi manipola una passione universale per puro interesse privato, e questo è da delinquenti. Lo fece Hitler nel '36, umiliato dalla vittoria del Perù contro l'Austria: nella notte dopo la gara venne cancellata la vittoria, ottenuta con i gol di attaccanti neri. Però abbiamo esempi meno clamorosi e più recenti".
Cosa pensa dei politici che usano lo sport?
"Ne ricordo uno, anche se il nome mi sfugge. Italiano, mi pare... Disse, più o meno, che avrebbe fatto al suo Paese le stesse cose che aveva fatto con la sua squadra di calcio. Non andò proprio così".
Come si diventa grandi narratori di sport?
"Guardando e ascoltando. Se l'uomo ha una sola bocca, ma due orecchie, significa che prima di parlare dovrebbe ascoltare due volte".
Perché gli scrittori sudamericani hanno scritto le pagine più belle della letteratura sportiva?
"Non so se questo sia vero, comunque noi cerchiamo di tradurre la voce della realtà mescolandola al sogno e alla magia. Bisogna sempre partire dalla cose minime, dai dettagli. Io amo confrontarmi con le vicende difficili e profonde, cercando di raccontarle in modo semplice. La realtà regala le storie migliori, non c'è bisogno di ricamarci troppo. Credo nella grandiosità delle piccole cose, anche se il nostro tempo malato ha confuso la grandiosità con la dimensione del reale: una cosa, se grossa, non è necessariamente grande, anzi è spesso il contrario".
Come si cerca, lo splendore?
"Ne ho appena visto molto tra gli "indignados", i ragazzi che ho incontrato in Spagna. Alcuni loro cartelli erano memorabili, ad esempio quello che diceva "se non ci farete sognare, non vi faremo dormire". Oppure, il mio preferito: "La rivoluzione del senso comune".
Contro le miserie, anche lo splendore di un po' di ottimismo?
"Io mi aspetto sempre che dentro questo mondo che non desidero, e che mi piace sempre meno, ci sia nascosto un altro piccolo mondo possibile e migliore, come dentro la pancia di una futura mamma".
Il mondo piccolo e migliore comincia dalle persone?
"Sempre, e dalla loro capacità di amare. Ricordo quando incontrai per la prima volta Obdulio Varela, l'eroe della Coppa del mondo che l'Uruguay strappò al Brasile nel 1950. Si narra che, la sera, questo grande giocatore abbandonò la festa dei suoi compagni, in albergo: me lo confermò egli stesso. Era andato vagando nei bar di Rio, per osservare le persone. Mi disse: "Dentro lo stadio Maracanà, la folla mi era parsa un mostro con 200 mila teste e l'avevo odiata. Ma adesso, dopo la sconfitta, ognuna di quelle teste piangeva da sola. Ne abbi un'immensa tristezza". Il mio amico Obdulio trascorse l'intera notte, per così dire, abbracciato a coloro che aveva fatto soffrire. Ecco, a me sembra un esempio bellissimo di compassione. E' così, comprendendo le ragioni degli altri, soprattutto gli infelici, che forse si realizza un mondo migliore".
di Maurizio Crosetti
da www.repubblica.it
mercoledì 1 giugno 2011
Toka Toka
Ero per le strade di Bissau in attesa di un toka-toka. Ne passano parecchi, quindi in pochi secondo ho attirato l'attenzione di un autista e sono salito.
Qualche solito sguardo sorpreso per la presenza di un bianco. E poi via per la strada principale della città. Era l'ora in cui gli studenti del mattino escono da scuola. Così ci siamo fermati per caricare tre bambini di ritorno a casa. Due di loro erano molto piccoli e così sono stati aiutati a salire e a prendere posto, senza rischiare di cadere per via della corsa e dei sobbalzi del mezzo pubblico. La bambina più piccola, con le treccine e un grande lecca-lecca in mano era particolarmente vivace. Faceva commenti ad alta voce e, alla domanda di un signore di offrirle il dolcetto, ha negato con voce simpatica. Si agitava visibilmente, nel fare tipico dei bambini, suscitando le risate divertite di tutto il toka-toka. Immediatamente si percepiva un aria di complicità tra tutti noi. Ci scambiavamo risate e occhiate ascoltando la piccolina. Poi, una giovane di fianco a me ha offerto un fazzoletto per pulirle il naso. Infine, è arrivato il loro momento di scendere e la gente si è fatta in quattro per aiutare i tre bambini affinché non avessero problemi.
Eravamo partecipi l'uno dell'altro e non indifferenti. Una bella sensazione.
Qualche solito sguardo sorpreso per la presenza di un bianco. E poi via per la strada principale della città. Era l'ora in cui gli studenti del mattino escono da scuola. Così ci siamo fermati per caricare tre bambini di ritorno a casa. Due di loro erano molto piccoli e così sono stati aiutati a salire e a prendere posto, senza rischiare di cadere per via della corsa e dei sobbalzi del mezzo pubblico. La bambina più piccola, con le treccine e un grande lecca-lecca in mano era particolarmente vivace. Faceva commenti ad alta voce e, alla domanda di un signore di offrirle il dolcetto, ha negato con voce simpatica. Si agitava visibilmente, nel fare tipico dei bambini, suscitando le risate divertite di tutto il toka-toka. Immediatamente si percepiva un aria di complicità tra tutti noi. Ci scambiavamo risate e occhiate ascoltando la piccolina. Poi, una giovane di fianco a me ha offerto un fazzoletto per pulirle il naso. Infine, è arrivato il loro momento di scendere e la gente si è fatta in quattro per aiutare i tre bambini affinché non avessero problemi.
Eravamo partecipi l'uno dell'altro e non indifferenti. Una bella sensazione.
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