venerdì 23 dicembre 2011

Betty


Oggi è ripassata di qua Betty.
Ha un bellissimo sorriso e due occhi grandi così.
Ha 15 anni ed è scappata qualche mese fa da Bubaque dove viveva con la sua famiglia. La sua mamma però qualche mese fa è morta e suo padre e i suoi zii la trattavano male. È salita su una barca ed è arrivata a Bissau.
Non aveva nessuno e si è presentata una notte in parrocchia. Spaurita ma non del tutto abbattuta. Sarà per la sua giovane età, ma un sorriso non lo nega a nessuno.
Ha dormito qui al CIFAP quella sera ed il giorno successivo ha fatto colazione e pranzo insieme a noi. Poi è arrivato “Zio” Fernando che con la sua associazione si è attivato per trovarle qualche parente in capitale che potesse badare a lei. Così il giorno dopo è andata via, dopo averci salutati tutti e ringraziati. Anche i padri che a volte fanno un po' i burberi si sono inteneriti del sorriso di Betty.
Così oggi si è ripresentata al CIFAP. Cercava P. André che però tardava a tornare. Aveva bisogno di 2000 franchi per andare a fare una visita nella clinica. Dalla sua ultima visita qualcosa era cambiato. Le ho notato subito un accenno di pancia. Le ho chiesto il perchè della visita e lei un po' con vergogna mi ha risposto: “per la pancia!”.
A 15 si ritroverà con un figlio. Chissà chi l'ha ingravidata se ha approfittato della sua gentilezza e della sua giovane età. Non so ma mi è venuto da pensare che potessero averle fatto del male, ma chissà, non riesco a capirlo. Lei ti sorride sempre.
Dice che il prossimo anno andrà a scuola, ma mi chiedo come farà con il bambino...
“Levan pa tera branku”. Dice che vuole andare in Europa e mi chiede di aiutarla, di venire con me. I padri dicono che il suo è uno di quei casi che vanno proprio aiutati.
Non è facile capire qui chi va aiutato e chi no. Sono troppi quelli che quotidianamente bussano alla porta per chiedere aiuto, soldi, vestiti, cibo. È il solito discorso: li aiuti tutti? Come fai? Non aiuti nessuno? Sono un egoista!
È difficile darsi delle risposte.

sabato 19 novembre 2011

Tartarughe

Viaggio tra le isole dell'arcipelago delle Bijagos sulle tracce delle tartarughe.


Dopo un buon bagno, un po' di pesca...


Andiamo sull'isola di Poilão dove le tartarughe vanno a depositare le uova. Dalla sabbia spuntano infatti i piccoli che, non appena fuori, si dirigono verso il mare per iniziare la loro vita. Ma solo 2 su 1000 sopravviveranno...


Arriva il tramonto e poi la notte...


E' emozionante vederle di notte uscire dall'acqua in un silenzio profondo dove si ode solo il mare, il respiro delle tartarughe e i loro movimenti lenti sulla sabbia...


martedì 15 novembre 2011

Aforisma sull'Africa

Oggi ho ascoltato questa frase che mi pare particolarmente significativa:

"l'Africa non puoi batterla e allora ti conquista".

venerdì 4 novembre 2011

Beni comuni


Ho scoperto qualche giorno fa una cosa interessante: in Guinea-Bissau non esiste formalmente la proprietà privata. La terra è tutta dello Stato che può darla in concessione ai privati. La terra è considerata quindi un bene comune. Così sta scritto nella Costituzione di questo paese. Interessante.

venerdì 21 ottobre 2011

Il colonnello dall'altra parte del mondo


In Guinea-Bissau, come in moltissimi altri stati africani, si piange la morte di Gheddafi, anche per via dei suoi molti aiuti mandati a questa parte di mondo. La gente parla con tristezza della sua uccisione e maledice coloro che hanno invaso la Libia. 
Certo il colonnello non era un campione di democrazia, ma di campioni se ne vedono ben pochi in giro... anzi...

martedì 11 ottobre 2011

Tera Branku

Ero con Eleonora sulla spiaggia di Bubaque, chiamata Escadinha e stavamo riposando dopo un piacevole bagno. 


Vicino a noi c'erano tre guineensi, come mostra la foto qui in basso.


Quello seduto sulla sabbia, un ragazzo che abbiamo capito essere un artista, raccontava la sua prima esperienza fuori dalla Guinea. Si trovava in Danimarca per fare una serie di concerti e prove musicali.

Era bellissimo ascoltarlo raccontare della terra dei bianchi. Ma ancora più bello era vedere le facce dei due seduti davanti a lui che lo ascoltavano assorti e solo di tanto in tanto, quando udivano qualche cosa di particolarmente eclatante, facevano esclamazioni di sorpresa.

Ovviamente nessuno di quei due è mai uscito dall'isola di Bubaque...

Il ragazzo seduto sulla sabbia raccontava di quando aveva alloggiato in un grande albergo. Al suo arrivo, per ben due giorni non era riuscito a mangiare, anche perché tutto costava tremendamente caro. Al mattino non sapeva che la colazione era super abbondante e che li aspettava nella hall dell'albergo. "Siccome nessuno ci ha invitati noi non siamo andati... e così siamo andati a fare prove di musica per tutto il giorno! Abbiamo cercato di spiegare al manager che eravamo senza cibo da due giorni ma non ne ha voluto sapere!". Solo a sera hanno mangiato ed hanno finito immediatamente tutti i soldi che avevano...

Poi, il ragazzo seduto sulla spiaggia cercava di spiegare ai suoi due ascoltatori come i bianchi sono programmati per risolverti i problemi, ma se li saluti, se dici loro "buongiorno", a malapena ti rispondono!
"I bianchi lavorano come matti. Non pensano molto alle relazioni sociali!".

Mentre noi guineensi, quando abbiamo la luce, una buona formazione, la salute, un po' di cibo, non chiediamo di più! Se vogliamo lavoriamo un po', se no, ce ne stiamo seduti tranquilli... Noi questo vogliamo...".

Come dargli torto?

martedì 4 ottobre 2011

Alfabeto Africa



La scuola è iniziata da poco. Proviamo a ritornare un po’ tutti e tutte sui banchi per imparare qualche lezione di convivialità e l’ABC del linguaggio inclusivo.


Ormai abbiamo fatto il callo a linguaggi che non aiutano a percorre la via dell’integrazione tra i popoli. Grazie anche ai mass media. Basti pensare a come viene descritta l’Africa. Qualche esempio.



A come Africa: una miniera di culture, popoli, ricchezze naturali; vi vivono un miliardo di persone; la parola, però, è usata spesso come sinonimo di miseria e povertà; per descrivere un degrado, si dice «come in Africa».

B come benessere: esperienza quotidiana che diverse popolazioni africane hanno declinato come possibilità di “essere-bene”; definizione rara nelle terre del profitto ad ogni costo. Perché non pensare all’Africa come a una vera occasione per imparare nuovamente come “essere-bene”?

C come colore. Ne è colpito chi visita una qualsiasi parte dell’Africa; la parola è usata invece per definire una persona nera. Forse una via di mezzo tra negro e terzomondiale? E se si provasse a dire semplicemente uomo, donna, bambino, a prescindere dal colore epidermico?

D come dibattito. In Africa lo si usa per raggiungere un accordo; da noi, invece, anima tavole rotonde e convegni in cui si discute “di loro”, dell’immigrazione, dei problemi dell’Africa, delle donne africane; dibattiti in cui il protagonista non c’è, o è spettatore muto.

E come emergenza. Spesso questa parola fa parte della vita del continente, ma è anche la sola leva che dà diritto all’Africa di avere un suo spazio nei media.

F come fotografia. L’Africa viene giornalmente offesa a mezzo stampa. Le foto belle del continente riguardano paesaggi, flora, fauna… Ma come sono raffigurati i bimbi, le donne e i popoli? Prostrati, affamati o in guerra. A fin di bene, certo. Ma è solo così che sì può descrivere la straordinaria umanità del continente? Pubblicherei simili foto, se il soggetto raffigurato fosse mio fratello, mia madre, mia sorella? O l’Africa è per noi ancora un ammasso di “corpi” senza identità?

G come giacimenti. Di petrolio, coltan, oro, diamanti… L’Africa ne è piena. Ma scegliamo di definirla come alla lettera “P”.

H come harambee, termine swahili per dire “l’unione fa la forza”; non sempre onorato dai politici africani, ma non per questo da accantonare. Oggi che abbiamo smarrito il senso del bene comune, ci può solo far bene lasciarci riscaldare da questo sogno. Africano.

I come immigrazione: diritto fondamentale, pratica antica quanto il mondo, via di salvezza e di sopravvivenza; questo e altro ha significato per tutti i popoli del mondo. Oggi che è il turno dei popoli d’Africa, la parola è diventata la madre di tutti i guai dell’Occidente.

L come lei: pronome personale di cortesia, secondo il vocabolario italiano; si può usare anche rivolgendosi a un immigrato.

M come Miriam Makeba: un nome, una vita, una donna d’Africa. Il giorno della sua morte (Castel Volturno, 10 novembre 2008), dissi a una persona che ama definirsi innamorata dell’Africa: «Oh mio Dio, è morta la Makeba!». Risposta: «E chi è?».

N come nero o negro. Black is beautiful, si diceva una volta; oggi il termine è sinonimo di catastrofi. I giornali ne abusano. Traffico in tilt: “bollino nero”. Borse in caduta libera: “venerdì nero”. E poi si disquisisce se chiamare gli africani neri o negri.

O come oblio: parola che dice alla perfezione il destino della storia d’Africa nei libri di scuola dei paesi che hanno scorazzato in lungo e in largo nel continente.

P come povera: termine classicamente abbinato all’Africa; al punto che, se uno tenta di elencarne le ricchezze, chi lo sente pensa che stia parlando dell’America.

Q come qualunquismo: modo in cui si parla dell’Africa. «In Africa si fa così», senza specificare paese, cultura, etnia.

R come rimesse: quelle che gli immigrati inviano a casa ogni mese, e che superano di molto le sempre più piccole cifre messe a disposizione della cooperazione allo sviluppo.

S come sorella, suora. Fateci caso: quando qualcuno dice “sorellina” o “suorina”, si può star certi che si sta riferendo a una religiosa africana, non importa se giovane o anziana.

T come tribù. In antropologia il termine è usato per i popoli “primitivi” di tutto il mondo; oggi rimanda subito all’Africa: tutto ciò che vi accade, in bene o in male, è letto alla luce di questo concetto. Guerre, culture, riti, usi, costumi... in Africa sono sempre tribali; come se nel continente non esistessero gruppi etnici.

U come ubuntu: dall’etimo “-ntu” presente in tutte le lingue bantu, che significa “essere umano”; il prefisso “u-“ indica astrazione, quindi “umanità”, ma anche “benevolenza verso il prossimo”. È una regola di vita, basata sulla compassione e il rispetto dell’altro; esorta a prendere coscienza dei diritti e dei doveri. In Europa è diventato il nome di un software libero.

V come voce. Molti si definiscono “voce di chi non ha voce”. Per troppi l’Africa è afona, o almeno roca. Davvero? E se invece di farsi suoi interpreti, le lasciassimo un po’ di spazio?

Z come zulu: nobile etnia sudafricana; termine talora usato in modo spregiativo: «Sei proprio uno zulu».

Tratto da Nigrizia (Ottobre 2011)

sabato 1 ottobre 2011

E io pago!

Ieri sera ho organizzato una uscita con tutti i professori della scuola professionale dove mi trovo. Pensavo di bere insieme con loro una birra per "benedire" insieme l'inizio del nuovo anno. Di solito ci troviamo sempre a parlare di lavoro, invece così ci trovavamo per conoscerci e divertirci insieme.
Ho detto al direttore della scuola di invitare tutti e di prenotare in un posto che andava bene.
Io pensavo ad una cosa molto semplice e via. Ma arrivati sul posto, ci sediamo e vedo che loro sono un po' sconcertati. Non riuscivano a capire il perchè di quell'incontro. E senza averlo esplicitato per bene li disorientava... Abbiamo iniziato a bere e mangiare e infatti uno dei prof mi chiede appunto con aria grave il perchè dell'incontro. Io rispondo che era un semplice momento di fraternizzazione, perché una squadra lavora meglio quando le persone si conoscono e stanno bene tra di loro. L'atmosfera si scioglie e vengono giù applausi e altri discorsi di ringraziamento e apprezzamento. Qualcuno balla, si inizia a fare battute, insomma, la serata prende una bella piega.

Fino a quando arriva il momento del conto. 

Mettono davanti a me il foglietto e io prendo la mia bella calcolatrice sul telefono e comincio a dividere il totale tra i partecipanti. Ma subito si creano capannelli di discussione tra le persone. Uno dei prof mi sussurra all'orecchio: "la gente si aspetta che tu paghi tutto, non si sono portati i soldi dietro... qui è normale fare così, tu hai invitato, tu paghi". Io ci rimango lì... guardo il mio collega, italiano pure lui e gli dico: "oh, qui ci tocca pagare!". Lui si arrabbia e inizia a dire: " no ragazzi, non ci siamo, qui si divide". Loro quasi si offendono e dicono che la loro cultura è così e basta.

Così alla fine ci tocca pagare per tutti, con un po' di amaro in bocca per noi, ovviamente, e anche per loro dato  che abbiamo osato mettere in discussione questo aspetto...
Ma pensa te.

lunedì 26 settembre 2011

Alcuni flash

Qualche racconto, pensiero e fotografia in ordine sparso.

A Bissau centro arriva la luce pubblica! Incredibile come cambia la città. Di sera la gente rimane fuori fino a tardi. C'è chi passeggia lungo la strada principale e chi rimane seduto a chiacchierare.
Ci sono diversi segnali di miglioramento e si respira un po' più di ottimismo. Non male.

Ho avuto in questi giorni diverse discussioni con amici guineensi, i quali mi hanno raccontato la loro visione della vita, mettendo in gioco spiriti, credenze, medicine tradizionali. Piano piano ho modo di entrare sempre di più nell'immaginario guineense. Non è facile e soprattutto ti sorprende parecchio... A volte oscillo tra due sensazioni: "questi sono fuori dal mondo!" e "questa è la ricchezza della loro cultura!". Non posso raccontare le cose che ti dicono perché il segreto per loro è fondamentale. Non tutte le orecchie sono per tutte le verità.

Ho fatto riparare un vecchio Piaggio Sì che era in disuso qui nella scuola. Ora questo è diventato il mio mezzo preferito di trasporto. 


Nella fiera di Bandim mi sono comprato una piccola pipa. Così la sera tra una chiacchierata e l'altra posso fare qualche tiro.


In casa stiamo subendo un attacco da parte di pulci. Siamo verso la chiusura della stagione delle piogge e insetti e animaletti vengono fuori alla grande. Le pulci sono veramente veramente fastidiose! Resisteremo.

Sabato 24 abbiamo festeggiato i 38 anni di indipendenza della Guinea-Bissau. Era una giornata splendida, con un cielo azzurro bellissimo. Faceva anche un gran caldo ma non mi sono perso i discorsi del Presidente (che ho anche fotografato all'uscita dal Parlamento) e la parata dei grandi capi.



giovedì 1 settembre 2011

Futuro

Sono passato dai vicini. La famigliola oggi faceva un gran casino. Si sentiva fino a qui da noi nella scuola. Chissà, forse è perché ci sono troppe donne in quella casa e pochi uomini che mettano fine alle lunghe discussioni e urla... ma andiamo oltre.
Essendo arrivato qui da noi un container (non è della scuola in verità ma di un altro ente che lo ha parcheggiato momentaneamente qui da noi essendoci spazio in abbondanza) molta gente si è avvicinata per cercare di ottenere qualche cianfrusaglia durante le operazioni di scarico. Così hanno fatto anche i bravi vicini. C'erano tutti i bimbetti - e anche qualche adulto per la verità. Sono riusciti a portare a casa qualche libretto colorato, qualche vestito e giochino. (Tralascio i commenti sui container che arrivano pieni di robacce di dubbia qualità e che alimentano l'idea che il bianco regala e il nero prende...). Tornati a casa sfogliavano uno dei libretti. Era uno di quelli con storielle per bimbi che devono imparare a leggere con grandi disegni. Ho iniziato a far leggere a turno pezzi di queste semplici frasi. I bimbetti intorno a me erano di diverse età, ma tutti con alle spalle già qualche anno di scuola. Era sconsolante però notare come nessuno fosse in grado di leggere il portoghese in modo decente... Il livello della scuola è veramente basso... non era la prima volta che percepivo questa cosa, però, ancora una volta, mi ha fatto cadere le braccia... che futuro si ha in queste condizioni?



martedì 30 agosto 2011

Ah che bello o café

La sera ogni tanto ci permettiamo un caffè al bar nella pizza centrale. Sullo sfondo si vede qualche altro bianco. E' bello ripetere questo rito anche qui, fare due parole, due passi verso casa la sera nel buio di Bissau.


mercoledì 24 agosto 2011

El munisiè

Qualche tempo fa abbiamo comprato un divano da mettere nella nostra casa. Poter sedersi comodamente la sera a chiacchierare e riposarsi su una poltrona o un divano è un piacere al quale si rinuncia mal volentieri.
Così la scuola professionale di Bula, che produce mobili ci ha venduto i pezzi. Infine mancavano i cuscini e con i tempi africani solo oggi abbiamo completato il tutto.

Sono stato in un "negozio" a cielo aperto di mobili. Bellissimo. Ci saranno stati una trentina di giovani che lavoravano a mano mobili e divani. Tutti è fatto senza macchinari, senza corrente elettrica. Sono riuscito a rubare qualche foto con il telefonino.





mercoledì 17 agosto 2011

Visita alle Bijagos

Siamo stati sull'isola di Bubaque lo scorso fine settimana. Eravamo un bel gruppo. Alcune facce dei partecipanti del gruppo sono ben note per alcuni...
Credo che le foto parlino da sole. Sono stati dei giorni molto piacevoli!












martedì 9 agosto 2011

Jinja

Lisbona si conferma punto nevralgico di passaggio, dove le vite si incontrano e ripartono. Le cose cambiano, non si rimane quelli di prima, soprattutto dopo aver bevuto una jinjinha. E il sidro che suggella i passaggi, i viaggi, i movimenti. Abbiamo le prove che funziona!
Provalo anche tu!






martedì 5 luglio 2011

Ferie

Sono in Italia per qualche settimana. Un po' di riposo prima di tornare a Bissau ad agosto. Tornato tra i bianchi noto che ci sono in me frammenti (pensieri, modi di fare, gesti e atteggiamenti) che non so più riconoscere da quale mondo provengono e se sono normali dove sono ora o se valgono soltanto nel mondo in cui ero prima...
Strano...

giovedì 16 giugno 2011

2 racconti

Due eventi mi hanno colpito oggi e questa sera, prima di andare a dormire, li voglio raccontare.

Durante la mattinata ho dovuto accompagnare Andrew ad una clinica perché non si sentiva bene (é la seconda persona ammalata in due giorni che porto all'ospedale!). Aspettavo che lui finisse tutte le analisi e osservavo la gente. C'erano soprattutto donne con bambini. A molti di questi veniva fatto il test per la malaria, una delle principali cause di morte dei bambini in questo paese. Fare il test significa che ti forano un pochino la punta di un dito e dall'analisi della goccia di sangue sanno dirti se hai o meno la malaria. Tutti i bambini uscivano dal laboratorio piangendo... piccini. Una madre cercava di consolare il suo piccolo che si guardava il dito disperato, con dei grandi lacrimoni. Non gli ha fatto baci o carezze o cose di questo tipo. Dopo avergli asciugato le lacrime, lo ha preso e se lo è messo dietro la schiena, come usano fare qui in Africa. Il piccolo ha smesso immediatamente di piangere, come se lo stretto contatto con la madre bastasse per placare il dolore. Interessante!


Il secondo episodio che mi ricordo ha a che fare, ancora una volta, con i miei vicini. Oggi sono passato davanti a casa loro mentre uscivo. Ero in macchina ma ho lanciato loro una veloce occhiata. Stavano giocando tutti insieme, saltellando di qua e di là. Bambini e ragazzini/e di diversa età erano intenti a divertirsi spensieratamente. La maggior parte del loro tempo la passano a giocare. Mi hanno trasmesso una sensazione di semplice felicità.


lunedì 6 giugno 2011

Apocalypto

Torno ora dalla casa dei vicini dove ci siamo guardati l'ennesimo film.
Questa sera ci siamo lanciati su una cosa un po' particolare. Mi hanno fatto una richiesta strana e ho voluto accontentarli. Non so come, ma Elias aveva visto da qualche parte il film di Mel Gibson "Apocalypto" e mi ha chiesto di guardarlo insieme ai suoi fratelli. Così abbiamo fatto. Il film è un po' violento... i più piccoli erano un po' spaventati... poveri...
Quello che trovo sempre interessante è vedere cosa li colpisce. Quale emozione, quale immagine li attrae. Ovvio, non posso cogliere tutto, non ne sono capace, non sono un antropologo. Ma ci sono alcune loro reazioni che mi sono sembrate interessanti: per esempio, durante un momento in cui uno dei personaggi "buoni" era in difficoltà, loro ripetevano la frase "bo sufri", che letteralmente significa "devi soffrire". Ossia significa che in quel momento il personaggio deve quasi rassegnarsi alla sofferenza e sopportarla. Il dolore va sopportato, con pazienza, senza disperarsi o lasciarsi andare.
Un'altra cosa che mi ha colpito è il momento in cui il personaggio principale si trova allo stremo delle forze ed è ormai braccato dai suoi inseguitori. I miei vicini dicevano commentando la scena: "Deus pa dal força", ossia "Dio ora devi dargli la tua forza". Nel momento di maggiore difficoltà, Dio vieni a darci forza. Sembra una preghiera ma era la loro reazione di fronte ad un film. Mi sembra molto interessante e curioso!

domenica 5 giugno 2011

Splendida intervista a Galeano sugli ultimi scandali del calcio

Le miserie del calcio secondo Galeano "Poveri atleti, ubriacati dal successo"

ASTI
- I sogni, il mistero, le illusioni, la tecnica, ma soprattutto la bellezza. Il calcio, per Eduardo Galeano, è un favoloso groviglio di splendore e miserie: questo il titolo di un suo famoso libro che è, ormai da anni, un classico. E attorno alle due parole-chiave, splendore e miseria, ruotano anche questi giorni convulsi per il nostro povero pallone.

Galeano, cominciamo dalle miserie?
"Sto seguendo l'ultimo scandalo che ha colpito il vostro sport. Tristissimo, veramente. Ma è la conferma che il calcio non è un'isola: non genera da sé violenza, corruzione, miseria morale, bensì le condivide con una società senza riferimenti, dove i potenti ingannano, rubano, mentono. Il football non è un capro espiatorio. C'è di peggio, credetemi, di un portiere che vende le partite o droga i compagni di squadra".

Ci fa un esempio?
"Qualche primo ministro. I nomi? Eh, sapete, io vengo da lontano e me ne intendo poco... Oppure i banchieri che hanno impoverito il mondo. Nessuno di loro è stato arrestato. Non i grandi, almeno. C'è chi ha violentato interi Paesi, e ha chiuso violentando cameriere d'albergo".

Come ci si oppone alla miseria, soprattutto quella interiore?
"Con la coscienza, con la capacità di ascoltare lei e non la convenienza. Come fece quel centravanti colombiano, tal Devani, che in un vecchio derby a Bogotà disse all'arbitro che non era rigore quello
che gli aveva appena concesso. Sono inciampato da solo, spiegò. Ma l'arbitro guardò la folla inferocita, che quel rigore voleva assolutamente, e rispose: grazie, però io preferisco restare vivo. Allora il centravanti andò al dischetto della morte, appoggiò il pallone e tirò fortissimo: fuori. Da quel giorno cominciò la sua fine sportiva, eppure quel giorno rappresenta il momento di massima gloria di tutta la sua vita. Perché egli, appunto, ascoltò la voce della coscienza e non della convenienza".

Lo sport non dovrebbe essere un luogo dove si proteggono le illusioni e i sogni?
"Dovrebbe, ma non è, anche se nella contraddizione sta la sua fecondità. In Uruguay ci indigniamo quando un centravanti simula un fallo da rigore, diciamo che è un pessimo esempio per i bambini. Io penso che sia peggio scaricare bombe sugli innocenti, chiamandola "missione di pace" invece di usare il suo vero nome: guerra".

Cosa può spingere un atleta a tradire e barare? Solo il denaro?
"Forse c'entra anche la condanna al successo. Ormai, non solo nel calcio, la sconfitta viene vissuta come una realtà senza redenzione. Quello che non rende, non serve. Abbiamo creato il mito dell'efficienza a qualunque costo, e le persone deboli cercano scorciatoie. La cosa grave, tuttavia, è il messaggio di impunità che talvolta si accompagna ai crimini. Questo è inaccettabile per gli onesti".

Però il calcio ha un grande potere consolatorio: è riduttivo, questo ruolo, o necessario?
"Siamo mendicanti di bellezza, e il calcio ci riempie gli occhi. Lionel Messi è l'unico vero messia in un mondo che inganna. Il Barcellona è splendore, certamente. Amo questa squadra solidale, creativa, piena di gioia di giocare, che non cerca atleti grandi e grossi e dà invece pieni poteri alla fantasia. La finale di Coppa dei Campioni contro il Manchester United è stata meravigliosa".

Meglio il Barcellona del Real Madrid, dunque.
"Non si discute neanche, Mourinho è un orrore".

A proposito di finali: il Peñarol di Montevideo si giocherà la Libertadores contro il Santos: a una squadra uruguaiana non accadeva da 23 anni.
"Non sono tifoso del Peñarol, ma spero vinca. Ogni tanto bisogna togliersi la maglia con i propri colori sociali, e pensare più sportivamente".

Lei ha scritto pagine memorabili sul mundial argentino del '78, usato dai militari per coprire i loro crimini. Pensa che lo sport sia ancora uno strumento di potere?
"Purtroppo sì. C'è chi manipola una passione universale per puro interesse privato, e questo è da delinquenti. Lo fece Hitler nel '36, umiliato dalla vittoria del Perù contro l'Austria: nella notte dopo la gara venne cancellata la vittoria, ottenuta con i gol di attaccanti neri. Però abbiamo esempi meno clamorosi e più recenti".

Cosa pensa dei politici che usano lo sport?
"Ne ricordo uno, anche se il nome mi sfugge. Italiano, mi pare... Disse, più o meno, che avrebbe fatto al suo Paese le stesse cose che aveva fatto con la sua squadra di calcio. Non andò proprio così".

Come si diventa grandi narratori di sport?
"Guardando e ascoltando. Se l'uomo ha una sola bocca, ma due orecchie, significa che prima di parlare dovrebbe ascoltare due volte".

Perché gli scrittori sudamericani hanno scritto le pagine più belle della letteratura sportiva?
"Non so se questo sia vero, comunque noi cerchiamo di tradurre la voce della realtà mescolandola al sogno e alla magia. Bisogna sempre partire dalla cose minime, dai dettagli. Io amo confrontarmi con le vicende difficili e profonde, cercando di raccontarle in modo semplice. La realtà regala le storie migliori, non c'è bisogno di ricamarci troppo. Credo nella grandiosità delle piccole cose, anche se il nostro tempo malato ha confuso la grandiosità con la dimensione del reale: una cosa, se grossa, non è necessariamente grande, anzi è spesso il contrario".

Come si cerca, lo splendore?
"Ne ho appena visto molto tra gli "indignados", i ragazzi che ho incontrato in Spagna. Alcuni loro cartelli erano memorabili, ad esempio quello che diceva "se non ci farete sognare, non vi faremo dormire". Oppure, il mio preferito: "La rivoluzione del senso comune".

Contro le miserie, anche lo splendore di un po' di ottimismo?
"Io mi aspetto sempre che dentro questo mondo che non desidero, e che mi piace sempre meno, ci sia nascosto un altro piccolo mondo possibile e migliore, come dentro la pancia di una futura mamma".
Il mondo piccolo e migliore comincia dalle persone?
"Sempre, e dalla loro capacità di amare. Ricordo quando incontrai per la prima volta Obdulio Varela, l'eroe della Coppa del mondo che l'Uruguay strappò al Brasile nel 1950. Si narra che, la sera, questo grande giocatore abbandonò la festa dei suoi compagni, in albergo: me lo confermò egli stesso. Era andato vagando nei bar di Rio, per osservare le persone. Mi disse: "Dentro lo stadio Maracanà, la folla mi era parsa un mostro con 200 mila teste e l'avevo odiata. Ma adesso, dopo la sconfitta, ognuna di quelle teste piangeva da sola. Ne abbi un'immensa tristezza". Il mio amico Obdulio trascorse l'intera notte, per così dire, abbracciato a coloro che aveva fatto soffrire. Ecco, a me sembra un esempio bellissimo di compassione. E' così, comprendendo le ragioni degli altri, soprattutto gli infelici, che forse si realizza un mondo migliore".

di Maurizio Crosetti
da www.repubblica.it

mercoledì 1 giugno 2011

Toka Toka

Ero per le strade di Bissau in attesa di un toka-toka. Ne passano parecchi, quindi in pochi secondo ho attirato l'attenzione di un autista e sono salito.
Qualche solito sguardo sorpreso per la presenza di un bianco. E poi via per la strada principale della città. Era l'ora in cui gli studenti del mattino escono da scuola. Così ci siamo fermati per caricare tre bambini di ritorno a casa. Due di loro erano molto piccoli e così sono stati aiutati a salire e a prendere posto, senza rischiare di cadere per via della corsa e dei sobbalzi del mezzo pubblico. La bambina più piccola, con le treccine e un grande lecca-lecca in mano era particolarmente vivace. Faceva commenti ad alta voce e, alla domanda di un signore di offrirle il dolcetto, ha negato con voce simpatica. Si agitava visibilmente, nel fare tipico dei bambini, suscitando le risate divertite di tutto il toka-toka. Immediatamente si percepiva un aria di complicità tra tutti noi. Ci scambiavamo risate e occhiate ascoltando la piccolina. Poi, una giovane di fianco a me ha offerto un fazzoletto per pulirle il naso. Infine, è arrivato il loro momento di scendere e la gente si è fatta in quattro per aiutare i tre bambini affinché non avessero problemi.
Eravamo partecipi l'uno dell'altro e non indifferenti. Una bella sensazione.

domenica 29 maggio 2011

Se l'Africa ha il mal d'Europa

Siamo continuamente sollecitati a versare, anche via sms, un obolo per l’Africa nera, soprattutto per i bambini che non hanno scuole, che non possono usufruire di un’educazione come si deve, che muoiono di malattie da noi curabilissime, come il tifo, o scomparse da tempo come la malaria. Alcune aziende, per accattivarsi i possibili clienti, dichiarano che uno o due euro saranno destinati ad aiutare l’Africa. Quando questi soldi arrivano a destinazione, se vi arrivano, sono maneggiati da ong che, animate dalle migliori intenzioni, li utilizzano per certi progetti in loco.

A queste ‘anime belle’ voglio raccontare la storia di Nana Konadu Yadom, una Ashanti, antichissima tribù dell’Africa nera, regina di un piccolo villaggio, Besoro, immerso nella giungla subtropicale del Ghana.

Quando è ancora principessa Nana parte per l’Italia perché vuole incontrare una suora di cui ha sentito parlare e l’ha affascinata. Al momento di partire è presa da qualche dubbio guardando i volti luminosi, gli occhi limpidi, sereni della sua gente e i mille bambini che scorrazzano allegramente. Ma parte. L’impulso alla conoscenza è più forte. Prima di raggiungere la suora, che dovrebbe stare, secondo vaghe indicazioni, in una città del Nord, si ferma in Sicilia dove, per vivere, si adatta a fare la colf. Quando raggiunge la città della suora, Schio, viene a sapere che è morta da cinquant’anni. Si ferma a Schio, sempre come domestica. Del nostro Paese non ha una percezione negativa, ne ammira le conquiste, anche se nota che tutti hanno sempre una tremenda fretta, vanno di corsa, sono ossessionati da uno strano strumento, l’orologio, tutte cose sconosciute a Besoro, anche perché a Besoro l’orologio non esiste, ci si regola con il levar del sole e quando l’ombra lambisce le radici di un certo baobab.

Nel frattempo a Besoro la regina morente, che è sua zia, l’ha nominata per la successione. Ma Nana rimane ancora un po’ in Italia. Diventa un caso: una regina che fa la sguattera! Finisce sui giornali. Per un pelo non la portano all’Isola dei Famosi. Dopo diciotto anni in Italia, Nana torna al suo villaggio, richiamata dal Consiglio degli Anziani perché adempia ai suoi doveri di regina. Ormai partecipe delle due culture Nana vuole portare qualche innovazione a Besoro, niente di grandioso: una piccola scuola, un piccolo ospedale. Costruito questo il medico, un nero pure lui, le fa notare che l’ospedale è inutile se non si costruisce anche un pozzo in modo che i bambini e gli adulti di Besoro non si abbeverino a un laghetto putrido dove si infettano. Comincia così una nota trafila da cui non si esce più. I bambini si ammalano di meno, ma Nana nota con sorpresa, che gli abitanti sono diventati tristi, non hanno più i volti luminosi, gli occhi limpidi, felici, mentre è comparsa una malattia mai vista a Besoro, l’ipertensione.

Il virus occidentale ha rotto equilibri ancestrali. Il primo a squagliarsela è il cacciatore Coio che torna nella foresta, poi altri, infine anche il tranquillo zio Ofa se ne va, mentre uno che lavora in ospedale le dice con una voce quasi infantile: “Io non posso vivere con l’orario”. L’esperimento è stato fallimentare.

Mi piace concludere questo apologo con le parole di Andrea Pasqualetto, il giornalista che ha raccolto il racconto della regina Nana Konadu Yadom per un libro che uscirà prossimamente da Marsilio: “Chi l’ha detto che l’Africa nera deve essere aiutata? Chi l’ha detto che servono scuole, ospedali, pozzi? Servono a chi? Agli africani o a noi?”.

Massimo Fini
fonte: ilfattoquotidiano.it

Mia nota: non so se è condivisibile al 100%, però è interessante...

Ho fatto il portoghese

Siamo stati a vedere la finale di Champions League in un ristorante tipico portoghese. Partita senza storia. Barcellona eccezionale. Anche la serata è stata bella. Era la prima volta che entravo nel locale e così ho dovuto offrire da bere al padrone (il tipo nella foto). Infine, non avendo abbastanza soldi per offrire a tutti, ho dovuto pure lavare i piatti, come testimoniano le foto...(ahi!)



P.S. vero finale della storia: il padrone ha offerto da bere a volontà a tutta la tavola!

giovedì 19 maggio 2011

In camper

Ieri sera nel buio di Bandim ho visto un camper. Sopra aspettavano due italiani, uno dei quali ha viaggiato solitario dall'Italia fino a qui. L'altro lo ha raggiunto in aereo a metà strada. Un vero e proprio viaggio all'avventura, senza programmi, se non quello di arrivare a... Città del Capo, in Sud Africa!!

lunedì 9 maggio 2011

Il secondino

In questi giorni sento un po' di più la fatica del lavoro, del caldo insopportabile, delle difficoltà nelle relazioni. Mi trovavo questa mattina a visitare il carcere di Bafata, dove tenteremo di fare un progetto di formazione professionale per carcerati, e c'era il “secondino” che ci accompagnava. La struttura era vuota perché i detenuti da Bissau non sono ancora stati trasferiti. Il tipo era simpatico e girava in divisa con tanto di coltellazzo e pistola alla cintola. Prima faceva tutto il duro, poi dopo qualche battuta è diventato più simpatico. Ci diceva: guarda qui, i bianchi hanno fatto questo. I bianchi sanno fare dei bei lavori. Ora è tutto andato a male (indicava le case del centro città che ora sono in gran parte diroccate ma che dovevano essere molto belle qualche anno fa).


Non voglio dire che solo i bianchi fanno bene ma che le cose possono andare meglio se ci mischiamo! Venite qui, fate lavori, mischiamoci! Mi è sembrata una frase carina che ho deciso abbia gli "onori" di un post.

venerdì 6 maggio 2011

Riconoscimenti

Qualche giorno fa, l'ONG per la quale lavoro ha avuto un importante riconoscimento da parte del governo della Guinea-Bissau. Questo permetterà in futuro di partecipare a bandi per finanziamenti di progetti e di avere agevolazioni fiscali. Era uno degli obiettivi del mio lavoro, per cui è una buona notizia!
Per l'occasione ho dovuto anche procurarmi una giacca. Così sono andato da un sarto del quartiere che me ne ha fatta una su misura. Era una cosa che mi aveva sempre incuriosito. Avete presente nei film, quando uno aveva un po' di soldi andata dal sarto e si faceva fare un vestito su misura. Restava nel negozio con le braccia aperte e il sarto girandogli intorno, prendeva le misure.
Ecco, anche io ho fatto così. Solo che la misura me l'ha presa all'africana e così mi sono ritrovato con una giacca enorme... poi me l'ha rifatta, ma è rimasta comunque un po' grande... pazienza...
Ecco qualche foto (se guardate bene ci sono anche dei bianchi già noti...).



giovedì 5 maggio 2011

Quando è l'ora della siesta

In Guinea-Bissau, spesso, le cose funzionano così.
Credo l'immagine parli da sola...
I due ricoprono incarichi importanti in una istituzione, ci sono parecchie cose da fare, MA...