venerdì 21 ottobre 2011

Il colonnello dall'altra parte del mondo


In Guinea-Bissau, come in moltissimi altri stati africani, si piange la morte di Gheddafi, anche per via dei suoi molti aiuti mandati a questa parte di mondo. La gente parla con tristezza della sua uccisione e maledice coloro che hanno invaso la Libia. 
Certo il colonnello non era un campione di democrazia, ma di campioni se ne vedono ben pochi in giro... anzi...

martedì 11 ottobre 2011

Tera Branku

Ero con Eleonora sulla spiaggia di Bubaque, chiamata Escadinha e stavamo riposando dopo un piacevole bagno. 


Vicino a noi c'erano tre guineensi, come mostra la foto qui in basso.


Quello seduto sulla sabbia, un ragazzo che abbiamo capito essere un artista, raccontava la sua prima esperienza fuori dalla Guinea. Si trovava in Danimarca per fare una serie di concerti e prove musicali.

Era bellissimo ascoltarlo raccontare della terra dei bianchi. Ma ancora più bello era vedere le facce dei due seduti davanti a lui che lo ascoltavano assorti e solo di tanto in tanto, quando udivano qualche cosa di particolarmente eclatante, facevano esclamazioni di sorpresa.

Ovviamente nessuno di quei due è mai uscito dall'isola di Bubaque...

Il ragazzo seduto sulla sabbia raccontava di quando aveva alloggiato in un grande albergo. Al suo arrivo, per ben due giorni non era riuscito a mangiare, anche perché tutto costava tremendamente caro. Al mattino non sapeva che la colazione era super abbondante e che li aspettava nella hall dell'albergo. "Siccome nessuno ci ha invitati noi non siamo andati... e così siamo andati a fare prove di musica per tutto il giorno! Abbiamo cercato di spiegare al manager che eravamo senza cibo da due giorni ma non ne ha voluto sapere!". Solo a sera hanno mangiato ed hanno finito immediatamente tutti i soldi che avevano...

Poi, il ragazzo seduto sulla spiaggia cercava di spiegare ai suoi due ascoltatori come i bianchi sono programmati per risolverti i problemi, ma se li saluti, se dici loro "buongiorno", a malapena ti rispondono!
"I bianchi lavorano come matti. Non pensano molto alle relazioni sociali!".

Mentre noi guineensi, quando abbiamo la luce, una buona formazione, la salute, un po' di cibo, non chiediamo di più! Se vogliamo lavoriamo un po', se no, ce ne stiamo seduti tranquilli... Noi questo vogliamo...".

Come dargli torto?

martedì 4 ottobre 2011

Alfabeto Africa



La scuola è iniziata da poco. Proviamo a ritornare un po’ tutti e tutte sui banchi per imparare qualche lezione di convivialità e l’ABC del linguaggio inclusivo.


Ormai abbiamo fatto il callo a linguaggi che non aiutano a percorre la via dell’integrazione tra i popoli. Grazie anche ai mass media. Basti pensare a come viene descritta l’Africa. Qualche esempio.



A come Africa: una miniera di culture, popoli, ricchezze naturali; vi vivono un miliardo di persone; la parola, però, è usata spesso come sinonimo di miseria e povertà; per descrivere un degrado, si dice «come in Africa».

B come benessere: esperienza quotidiana che diverse popolazioni africane hanno declinato come possibilità di “essere-bene”; definizione rara nelle terre del profitto ad ogni costo. Perché non pensare all’Africa come a una vera occasione per imparare nuovamente come “essere-bene”?

C come colore. Ne è colpito chi visita una qualsiasi parte dell’Africa; la parola è usata invece per definire una persona nera. Forse una via di mezzo tra negro e terzomondiale? E se si provasse a dire semplicemente uomo, donna, bambino, a prescindere dal colore epidermico?

D come dibattito. In Africa lo si usa per raggiungere un accordo; da noi, invece, anima tavole rotonde e convegni in cui si discute “di loro”, dell’immigrazione, dei problemi dell’Africa, delle donne africane; dibattiti in cui il protagonista non c’è, o è spettatore muto.

E come emergenza. Spesso questa parola fa parte della vita del continente, ma è anche la sola leva che dà diritto all’Africa di avere un suo spazio nei media.

F come fotografia. L’Africa viene giornalmente offesa a mezzo stampa. Le foto belle del continente riguardano paesaggi, flora, fauna… Ma come sono raffigurati i bimbi, le donne e i popoli? Prostrati, affamati o in guerra. A fin di bene, certo. Ma è solo così che sì può descrivere la straordinaria umanità del continente? Pubblicherei simili foto, se il soggetto raffigurato fosse mio fratello, mia madre, mia sorella? O l’Africa è per noi ancora un ammasso di “corpi” senza identità?

G come giacimenti. Di petrolio, coltan, oro, diamanti… L’Africa ne è piena. Ma scegliamo di definirla come alla lettera “P”.

H come harambee, termine swahili per dire “l’unione fa la forza”; non sempre onorato dai politici africani, ma non per questo da accantonare. Oggi che abbiamo smarrito il senso del bene comune, ci può solo far bene lasciarci riscaldare da questo sogno. Africano.

I come immigrazione: diritto fondamentale, pratica antica quanto il mondo, via di salvezza e di sopravvivenza; questo e altro ha significato per tutti i popoli del mondo. Oggi che è il turno dei popoli d’Africa, la parola è diventata la madre di tutti i guai dell’Occidente.

L come lei: pronome personale di cortesia, secondo il vocabolario italiano; si può usare anche rivolgendosi a un immigrato.

M come Miriam Makeba: un nome, una vita, una donna d’Africa. Il giorno della sua morte (Castel Volturno, 10 novembre 2008), dissi a una persona che ama definirsi innamorata dell’Africa: «Oh mio Dio, è morta la Makeba!». Risposta: «E chi è?».

N come nero o negro. Black is beautiful, si diceva una volta; oggi il termine è sinonimo di catastrofi. I giornali ne abusano. Traffico in tilt: “bollino nero”. Borse in caduta libera: “venerdì nero”. E poi si disquisisce se chiamare gli africani neri o negri.

O come oblio: parola che dice alla perfezione il destino della storia d’Africa nei libri di scuola dei paesi che hanno scorazzato in lungo e in largo nel continente.

P come povera: termine classicamente abbinato all’Africa; al punto che, se uno tenta di elencarne le ricchezze, chi lo sente pensa che stia parlando dell’America.

Q come qualunquismo: modo in cui si parla dell’Africa. «In Africa si fa così», senza specificare paese, cultura, etnia.

R come rimesse: quelle che gli immigrati inviano a casa ogni mese, e che superano di molto le sempre più piccole cifre messe a disposizione della cooperazione allo sviluppo.

S come sorella, suora. Fateci caso: quando qualcuno dice “sorellina” o “suorina”, si può star certi che si sta riferendo a una religiosa africana, non importa se giovane o anziana.

T come tribù. In antropologia il termine è usato per i popoli “primitivi” di tutto il mondo; oggi rimanda subito all’Africa: tutto ciò che vi accade, in bene o in male, è letto alla luce di questo concetto. Guerre, culture, riti, usi, costumi... in Africa sono sempre tribali; come se nel continente non esistessero gruppi etnici.

U come ubuntu: dall’etimo “-ntu” presente in tutte le lingue bantu, che significa “essere umano”; il prefisso “u-“ indica astrazione, quindi “umanità”, ma anche “benevolenza verso il prossimo”. È una regola di vita, basata sulla compassione e il rispetto dell’altro; esorta a prendere coscienza dei diritti e dei doveri. In Europa è diventato il nome di un software libero.

V come voce. Molti si definiscono “voce di chi non ha voce”. Per troppi l’Africa è afona, o almeno roca. Davvero? E se invece di farsi suoi interpreti, le lasciassimo un po’ di spazio?

Z come zulu: nobile etnia sudafricana; termine talora usato in modo spregiativo: «Sei proprio uno zulu».

Tratto da Nigrizia (Ottobre 2011)

sabato 1 ottobre 2011

E io pago!

Ieri sera ho organizzato una uscita con tutti i professori della scuola professionale dove mi trovo. Pensavo di bere insieme con loro una birra per "benedire" insieme l'inizio del nuovo anno. Di solito ci troviamo sempre a parlare di lavoro, invece così ci trovavamo per conoscerci e divertirci insieme.
Ho detto al direttore della scuola di invitare tutti e di prenotare in un posto che andava bene.
Io pensavo ad una cosa molto semplice e via. Ma arrivati sul posto, ci sediamo e vedo che loro sono un po' sconcertati. Non riuscivano a capire il perchè di quell'incontro. E senza averlo esplicitato per bene li disorientava... Abbiamo iniziato a bere e mangiare e infatti uno dei prof mi chiede appunto con aria grave il perchè dell'incontro. Io rispondo che era un semplice momento di fraternizzazione, perché una squadra lavora meglio quando le persone si conoscono e stanno bene tra di loro. L'atmosfera si scioglie e vengono giù applausi e altri discorsi di ringraziamento e apprezzamento. Qualcuno balla, si inizia a fare battute, insomma, la serata prende una bella piega.

Fino a quando arriva il momento del conto. 

Mettono davanti a me il foglietto e io prendo la mia bella calcolatrice sul telefono e comincio a dividere il totale tra i partecipanti. Ma subito si creano capannelli di discussione tra le persone. Uno dei prof mi sussurra all'orecchio: "la gente si aspetta che tu paghi tutto, non si sono portati i soldi dietro... qui è normale fare così, tu hai invitato, tu paghi". Io ci rimango lì... guardo il mio collega, italiano pure lui e gli dico: "oh, qui ci tocca pagare!". Lui si arrabbia e inizia a dire: " no ragazzi, non ci siamo, qui si divide". Loro quasi si offendono e dicono che la loro cultura è così e basta.

Così alla fine ci tocca pagare per tutti, con un po' di amaro in bocca per noi, ovviamente, e anche per loro dato  che abbiamo osato mettere in discussione questo aspetto...
Ma pensa te.