venerdì 23 dicembre 2011
Betty
sabato 19 novembre 2011
Tartarughe
martedì 15 novembre 2011
Aforisma sull'Africa
"l'Africa non puoi batterla e allora ti conquista".
venerdì 4 novembre 2011
venerdì 21 ottobre 2011
Il colonnello dall'altra parte del mondo
martedì 11 ottobre 2011
Tera Branku
Vicino a noi c'erano tre guineensi, come mostra la foto qui in basso.
Ovviamente nessuno di quei due è mai uscito dall'isola di Bubaque...
martedì 4 ottobre 2011
Alfabeto Africa
La scuola è iniziata da poco. Proviamo a ritornare un po’ tutti e tutte sui banchi per imparare qualche lezione di convivialità e l’ABC del linguaggio inclusivo.
Tratto da Nigrizia (Ottobre 2011)
sabato 1 ottobre 2011
E io pago!
lunedì 26 settembre 2011
Alcuni flash
giovedì 1 settembre 2011
Futuro
martedì 30 agosto 2011
Ah che bello o café
mercoledì 24 agosto 2011
El munisiè
Così la scuola professionale di Bula, che produce mobili ci ha venduto i pezzi. Infine mancavano i cuscini e con i tempi africani solo oggi abbiamo completato il tutto.
Sono stato in un "negozio" a cielo aperto di mobili. Bellissimo. Ci saranno stati una trentina di giovani che lavoravano a mano mobili e divani. Tutti è fatto senza macchinari, senza corrente elettrica. Sono riuscito a rubare qualche foto con il telefonino.
mercoledì 17 agosto 2011
Visita alle Bijagos
martedì 9 agosto 2011
Jinja
martedì 5 luglio 2011
Ferie
Strano...
venerdì 24 giugno 2011
giovedì 16 giugno 2011
2 racconti
Durante la mattinata ho dovuto accompagnare Andrew ad una clinica perché non si sentiva bene (é la seconda persona ammalata in due giorni che porto all'ospedale!). Aspettavo che lui finisse tutte le analisi e osservavo la gente. C'erano soprattutto donne con bambini. A molti di questi veniva fatto il test per la malaria, una delle principali cause di morte dei bambini in questo paese. Fare il test significa che ti forano un pochino la punta di un dito e dall'analisi della goccia di sangue sanno dirti se hai o meno la malaria. Tutti i bambini uscivano dal laboratorio piangendo... piccini. Una madre cercava di consolare il suo piccolo che si guardava il dito disperato, con dei grandi lacrimoni. Non gli ha fatto baci o carezze o cose di questo tipo. Dopo avergli asciugato le lacrime, lo ha preso e se lo è messo dietro la schiena, come usano fare qui in Africa. Il piccolo ha smesso immediatamente di piangere, come se lo stretto contatto con la madre bastasse per placare il dolore. Interessante!
Il secondo episodio che mi ricordo ha a che fare, ancora una volta, con i miei vicini. Oggi sono passato davanti a casa loro mentre uscivo. Ero in macchina ma ho lanciato loro una veloce occhiata. Stavano giocando tutti insieme, saltellando di qua e di là. Bambini e ragazzini/e di diversa età erano intenti a divertirsi spensieratamente. La maggior parte del loro tempo la passano a giocare. Mi hanno trasmesso una sensazione di semplice felicità.
lunedì 6 giugno 2011
Apocalypto
Questa sera ci siamo lanciati su una cosa un po' particolare. Mi hanno fatto una richiesta strana e ho voluto accontentarli. Non so come, ma Elias aveva visto da qualche parte il film di Mel Gibson "Apocalypto" e mi ha chiesto di guardarlo insieme ai suoi fratelli. Così abbiamo fatto. Il film è un po' violento... i più piccoli erano un po' spaventati... poveri...
Quello che trovo sempre interessante è vedere cosa li colpisce. Quale emozione, quale immagine li attrae. Ovvio, non posso cogliere tutto, non ne sono capace, non sono un antropologo. Ma ci sono alcune loro reazioni che mi sono sembrate interessanti: per esempio, durante un momento in cui uno dei personaggi "buoni" era in difficoltà, loro ripetevano la frase "bo sufri", che letteralmente significa "devi soffrire". Ossia significa che in quel momento il personaggio deve quasi rassegnarsi alla sofferenza e sopportarla. Il dolore va sopportato, con pazienza, senza disperarsi o lasciarsi andare.
Un'altra cosa che mi ha colpito è il momento in cui il personaggio principale si trova allo stremo delle forze ed è ormai braccato dai suoi inseguitori. I miei vicini dicevano commentando la scena: "Deus pa dal força", ossia "Dio ora devi dargli la tua forza". Nel momento di maggiore difficoltà, Dio vieni a darci forza. Sembra una preghiera ma era la loro reazione di fronte ad un film. Mi sembra molto interessante e curioso!
domenica 5 giugno 2011
Splendida intervista a Galeano sugli ultimi scandali del calcio
ASTI - I sogni, il mistero, le illusioni, la tecnica, ma soprattutto la bellezza. Il calcio, per Eduardo Galeano, è un favoloso groviglio di splendore e miserie: questo il titolo di un suo famoso libro che è, ormai da anni, un classico. E attorno alle due parole-chiave, splendore e miseria, ruotano anche questi giorni convulsi per il nostro povero pallone.
Galeano, cominciamo dalle miserie?
"Sto seguendo l'ultimo scandalo che ha colpito il vostro sport. Tristissimo, veramente. Ma è la conferma che il calcio non è un'isola: non genera da sé violenza, corruzione, miseria morale, bensì le condivide con una società senza riferimenti, dove i potenti ingannano, rubano, mentono. Il football non è un capro espiatorio. C'è di peggio, credetemi, di un portiere che vende le partite o droga i compagni di squadra".
Ci fa un esempio?
"Qualche primo ministro. I nomi? Eh, sapete, io vengo da lontano e me ne intendo poco... Oppure i banchieri che hanno impoverito il mondo. Nessuno di loro è stato arrestato. Non i grandi, almeno. C'è chi ha violentato interi Paesi, e ha chiuso violentando cameriere d'albergo".
Come ci si oppone alla miseria, soprattutto quella interiore?
"Con la coscienza, con la capacità di ascoltare lei e non la convenienza. Come fece quel centravanti colombiano, tal Devani, che in un vecchio derby a Bogotà disse all'arbitro che non era rigore quello
Lo sport non dovrebbe essere un luogo dove si proteggono le illusioni e i sogni?
"Dovrebbe, ma non è, anche se nella contraddizione sta la sua fecondità. In Uruguay ci indigniamo quando un centravanti simula un fallo da rigore, diciamo che è un pessimo esempio per i bambini. Io penso che sia peggio scaricare bombe sugli innocenti, chiamandola "missione di pace" invece di usare il suo vero nome: guerra".
Cosa può spingere un atleta a tradire e barare? Solo il denaro?
"Forse c'entra anche la condanna al successo. Ormai, non solo nel calcio, la sconfitta viene vissuta come una realtà senza redenzione. Quello che non rende, non serve. Abbiamo creato il mito dell'efficienza a qualunque costo, e le persone deboli cercano scorciatoie. La cosa grave, tuttavia, è il messaggio di impunità che talvolta si accompagna ai crimini. Questo è inaccettabile per gli onesti".
Però il calcio ha un grande potere consolatorio: è riduttivo, questo ruolo, o necessario?
"Siamo mendicanti di bellezza, e il calcio ci riempie gli occhi. Lionel Messi è l'unico vero messia in un mondo che inganna. Il Barcellona è splendore, certamente. Amo questa squadra solidale, creativa, piena di gioia di giocare, che non cerca atleti grandi e grossi e dà invece pieni poteri alla fantasia. La finale di Coppa dei Campioni contro il Manchester United è stata meravigliosa".
Meglio il Barcellona del Real Madrid, dunque.
"Non si discute neanche, Mourinho è un orrore".
A proposito di finali: il Peñarol di Montevideo si giocherà la Libertadores contro il Santos: a una squadra uruguaiana non accadeva da 23 anni.
"Non sono tifoso del Peñarol, ma spero vinca. Ogni tanto bisogna togliersi la maglia con i propri colori sociali, e pensare più sportivamente".
Lei ha scritto pagine memorabili sul mundial argentino del '78, usato dai militari per coprire i loro crimini. Pensa che lo sport sia ancora uno strumento di potere?
"Purtroppo sì. C'è chi manipola una passione universale per puro interesse privato, e questo è da delinquenti. Lo fece Hitler nel '36, umiliato dalla vittoria del Perù contro l'Austria: nella notte dopo la gara venne cancellata la vittoria, ottenuta con i gol di attaccanti neri. Però abbiamo esempi meno clamorosi e più recenti".
Cosa pensa dei politici che usano lo sport?
"Ne ricordo uno, anche se il nome mi sfugge. Italiano, mi pare... Disse, più o meno, che avrebbe fatto al suo Paese le stesse cose che aveva fatto con la sua squadra di calcio. Non andò proprio così".
Come si diventa grandi narratori di sport?
"Guardando e ascoltando. Se l'uomo ha una sola bocca, ma due orecchie, significa che prima di parlare dovrebbe ascoltare due volte".
Perché gli scrittori sudamericani hanno scritto le pagine più belle della letteratura sportiva?
"Non so se questo sia vero, comunque noi cerchiamo di tradurre la voce della realtà mescolandola al sogno e alla magia. Bisogna sempre partire dalla cose minime, dai dettagli. Io amo confrontarmi con le vicende difficili e profonde, cercando di raccontarle in modo semplice. La realtà regala le storie migliori, non c'è bisogno di ricamarci troppo. Credo nella grandiosità delle piccole cose, anche se il nostro tempo malato ha confuso la grandiosità con la dimensione del reale: una cosa, se grossa, non è necessariamente grande, anzi è spesso il contrario".
Come si cerca, lo splendore?
"Ne ho appena visto molto tra gli "indignados", i ragazzi che ho incontrato in Spagna. Alcuni loro cartelli erano memorabili, ad esempio quello che diceva "se non ci farete sognare, non vi faremo dormire". Oppure, il mio preferito: "La rivoluzione del senso comune".
Contro le miserie, anche lo splendore di un po' di ottimismo?
"Io mi aspetto sempre che dentro questo mondo che non desidero, e che mi piace sempre meno, ci sia nascosto un altro piccolo mondo possibile e migliore, come dentro la pancia di una futura mamma".
Il mondo piccolo e migliore comincia dalle persone?
"Sempre, e dalla loro capacità di amare. Ricordo quando incontrai per la prima volta Obdulio Varela, l'eroe della Coppa del mondo che l'Uruguay strappò al Brasile nel 1950. Si narra che, la sera, questo grande giocatore abbandonò la festa dei suoi compagni, in albergo: me lo confermò egli stesso. Era andato vagando nei bar di Rio, per osservare le persone. Mi disse: "Dentro lo stadio Maracanà, la folla mi era parsa un mostro con 200 mila teste e l'avevo odiata. Ma adesso, dopo la sconfitta, ognuna di quelle teste piangeva da sola. Ne abbi un'immensa tristezza". Il mio amico Obdulio trascorse l'intera notte, per così dire, abbracciato a coloro che aveva fatto soffrire. Ecco, a me sembra un esempio bellissimo di compassione. E' così, comprendendo le ragioni degli altri, soprattutto gli infelici, che forse si realizza un mondo migliore".
di Maurizio Crosetti
da www.repubblica.it
mercoledì 1 giugno 2011
Toka Toka
Qualche solito sguardo sorpreso per la presenza di un bianco. E poi via per la strada principale della città. Era l'ora in cui gli studenti del mattino escono da scuola. Così ci siamo fermati per caricare tre bambini di ritorno a casa. Due di loro erano molto piccoli e così sono stati aiutati a salire e a prendere posto, senza rischiare di cadere per via della corsa e dei sobbalzi del mezzo pubblico. La bambina più piccola, con le treccine e un grande lecca-lecca in mano era particolarmente vivace. Faceva commenti ad alta voce e, alla domanda di un signore di offrirle il dolcetto, ha negato con voce simpatica. Si agitava visibilmente, nel fare tipico dei bambini, suscitando le risate divertite di tutto il toka-toka. Immediatamente si percepiva un aria di complicità tra tutti noi. Ci scambiavamo risate e occhiate ascoltando la piccolina. Poi, una giovane di fianco a me ha offerto un fazzoletto per pulirle il naso. Infine, è arrivato il loro momento di scendere e la gente si è fatta in quattro per aiutare i tre bambini affinché non avessero problemi.
Eravamo partecipi l'uno dell'altro e non indifferenti. Una bella sensazione.
domenica 29 maggio 2011
Se l'Africa ha il mal d'Europa
A queste ‘anime belle’ voglio raccontare la storia di Nana Konadu Yadom, una Ashanti, antichissima tribù dell’Africa nera, regina di un piccolo villaggio, Besoro, immerso nella giungla subtropicale del Ghana.
Quando è ancora principessa Nana parte per l’Italia perché vuole incontrare una suora di cui ha sentito parlare e l’ha affascinata. Al momento di partire è presa da qualche dubbio guardando i volti luminosi, gli occhi limpidi, sereni della sua gente e i mille bambini che scorrazzano allegramente. Ma parte. L’impulso alla conoscenza è più forte. Prima di raggiungere la suora, che dovrebbe stare, secondo vaghe indicazioni, in una città del Nord, si ferma in Sicilia dove, per vivere, si adatta a fare la colf. Quando raggiunge la città della suora, Schio, viene a sapere che è morta da cinquant’anni. Si ferma a Schio, sempre come domestica. Del nostro Paese non ha una percezione negativa, ne ammira le conquiste, anche se nota che tutti hanno sempre una tremenda fretta, vanno di corsa, sono ossessionati da uno strano strumento, l’orologio, tutte cose sconosciute a Besoro, anche perché a Besoro l’orologio non esiste, ci si regola con il levar del sole e quando l’ombra lambisce le radici di un certo baobab.
Nel frattempo a Besoro la regina morente, che è sua zia, l’ha nominata per la successione. Ma Nana rimane ancora un po’ in Italia. Diventa un caso: una regina che fa la sguattera! Finisce sui giornali. Per un pelo non la portano all’Isola dei Famosi. Dopo diciotto anni in Italia, Nana torna al suo villaggio, richiamata dal Consiglio degli Anziani perché adempia ai suoi doveri di regina. Ormai partecipe delle due culture Nana vuole portare qualche innovazione a Besoro, niente di grandioso: una piccola scuola, un piccolo ospedale. Costruito questo il medico, un nero pure lui, le fa notare che l’ospedale è inutile se non si costruisce anche un pozzo in modo che i bambini e gli adulti di Besoro non si abbeverino a un laghetto putrido dove si infettano. Comincia così una nota trafila da cui non si esce più. I bambini si ammalano di meno, ma Nana nota con sorpresa, che gli abitanti sono diventati tristi, non hanno più i volti luminosi, gli occhi limpidi, felici, mentre è comparsa una malattia mai vista a Besoro, l’ipertensione.
Il virus occidentale ha rotto equilibri ancestrali. Il primo a squagliarsela è il cacciatore Coio che torna nella foresta, poi altri, infine anche il tranquillo zio Ofa se ne va, mentre uno che lavora in ospedale le dice con una voce quasi infantile: “Io non posso vivere con l’orario”. L’esperimento è stato fallimentare.
Mi piace concludere questo apologo con le parole di Andrea Pasqualetto, il giornalista che ha raccolto il racconto della regina Nana Konadu Yadom per un libro che uscirà prossimamente da Marsilio: “Chi l’ha detto che l’Africa nera deve essere aiutata? Chi l’ha detto che servono scuole, ospedali, pozzi? Servono a chi? Agli africani o a noi?”.
Massimo Fini
fonte: ilfattoquotidiano.it
Mia nota: non so se è condivisibile al 100%, però è interessante...
Ho fatto il portoghese
P.S. vero finale della storia: il padrone ha offerto da bere a volontà a tutta la tavola!
giovedì 19 maggio 2011
In camper
lunedì 9 maggio 2011
Il secondino
Non voglio dire che solo i bianchi fanno bene ma che le cose possono andare meglio se ci mischiamo! Venite qui, fate lavori, mischiamoci! Mi è sembrata una frase carina che ho deciso abbia gli "onori" di un post.
venerdì 6 maggio 2011
Riconoscimenti
Per l'occasione ho dovuto anche procurarmi una giacca. Così sono andato da un sarto del quartiere che me ne ha fatta una su misura. Era una cosa che mi aveva sempre incuriosito. Avete presente nei film, quando uno aveva un po' di soldi andata dal sarto e si faceva fare un vestito su misura. Restava nel negozio con le braccia aperte e il sarto girandogli intorno, prendeva le misure.
Ecco, anche io ho fatto così. Solo che la misura me l'ha presa all'africana e così mi sono ritrovato con una giacca enorme... poi me l'ha rifatta, ma è rimasta comunque un po' grande... pazienza...
Ecco qualche foto (se guardate bene ci sono anche dei bianchi già noti...).